La governante
di Vitaliano Brancati
Note di regia
A prescindere dall’alone di trasgressione che la accompagna per le note vicende legate alla censura, La governante è un testo eretico e atipico del Novecento italiano. Innanzitutto nella conduzione: quella che appare, all’apertura del sipario, come una commedia di costume, dai tratti graffianti e quasi grotteschi, imprevedibilmente, e quasi precipitosamente, trascende in dramma. Il dialogo intriso di beffarda ironia che domina per due terzi dell’azione si rovescia d’improvviso, rivelando il fondo cupo e tormentato dei personaggi che lo animano. L’umore tragicomico della commedia, come qualcuno ha rilevato, lascia intravedere in controluce il “tentativo, disperato e sgambettante, di uscire dall’inferno”. Per Brancati, che mostra una peculiare sensibilità per la condizione di coscienza, poco contano gli intellettualismi al riguardo; il richiamo – che sia all’inconscio (della psicanalisi o della letteratura) oppure alle origini antropologiche o sociali – non è sufficiente a liberarsi dal senso di colpa e di inadeguatezza, a sottrarsi alle responsabilità personali.
E ciò si riflette, in effetti, in tutti i personaggi della pièce, in particolare in Caterina Leher, vera e propria invenzione teatrale. Opponendosi, con la sua cultura calvinista tutta d’un pezzo, alla tolleranza, agli alibi, alle giustificazioni, la governante francese per un verso rappresenta l’antitesi della morale cattolica, conciliante, confusionaria e incline al compromesso. Per l’altro appare ambigua, contorta, contraddittoria, sprofondando nel peccato con ribrezzo ma non senza piacere. Il rimorso, che è la linfa vitale dell’intera sua esistenza, acuisce e rende più intenso e morboso il desiderio erotico. Non la calunnia, però. Il senso di colpa per avere provocato la morte di una innocente non ha a che fare con la sfera del piacere, ma con quella della morale. Ed è lì che soccombe; si uccide, in fondo, per rimanere fedele alla propria integrità.
Oltre alle guizzanti aperture sulla società italiana – sulla ‘doppia morale’, sul ruolo della politica e degli intellettuali, sull’ipocrisia dei rapporti familiari e sociali – che a distanza di mezzo secolo si rivelano lucide e attuali, quello che ancora colpisce nel testo di Brancati è la descrizione – lieve nei toni, ma penetrante nella materia – dell’interiorità dei personaggi; della non-accettazione di se stessi; del conflitto che oppone l’istinto dettato dalla natura all’etica indotta dalla formazione culturale; della scissione – in sintesi – fra ciò che si è e ciò che si vorrebbe e riterrebbe giusto essere. Tutti aspirano a diventare migliori e a mettersi in pari con la realtà che li circonda, tutti sono sottilmente insidiati da un pessimismo profondo, insormontabile, tradotto ora in accidia, ora in vitalismo (vedi il gallismo dei personaggi maschili); tutti riparano, con scarso successo, dietro gli sghembi paraventi che simbolicamente segnano il perimetro dell’azione, offrendo intricate e asimmetriche vie d’uscita. Caterina e Leopoldo in primis, naturalmente: la prima dilaniata dal conflitto mal represso fra la natura anomala delle sue pulsioni e la sua formazione morale, l’altro dal rimorso – più esplicito e dichiarato, questo, mai messo a tacere – di aver causato anni addietro la morte di una figlia per gli ancestrali pregiudizi connaturati alla sua sicilianità.
Scritta nel 1952, La governante irruppe con un forte impatto nell’Italia perbenista e bigotta di quegli anni. La cronaca vuole che sia stato Giulio Andreotti, allora sottosegretario con delega allo spettacolo, a sancirne l’interdizione dai palcoscenici italiani. Scomparso prematuramente l’autore nel 1954, la pièce debuttò a Parigi solo nel 1963 (grazie alle pressioni esercitate da Luchino Visconti); di poco successiva la prima, storica messinscena italiana (22 gennaio 1965) diretta da Giuseppe Patroni Griffi con Anna Proclemer, moglie di Brancati, nel ruolo di Caterina Leher e Gianrico Tedeschi in quello di Leopoldo Platania. Ha conosciuto in seguito molti altri rilevanti allestimenti, fra cui quelli con Carla Gravina e Turi Ferro (Squarzina, 1984), con Andrea Jonasson e Pippo Pattavina (Pagliaro, 2003), con Giovanna Di Rauso e ancora Pattavina (Scaparro, 2012). (M. A.)
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